Le bugie con le gambe lunghe

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Considerata a torto dallo stesso Eduardo opera “minore” e quindi portata sulle scene con minore frequenza rispetto alle commedie del nucleo “classico” della drammaturgia eduardiana, “Le bugie con le gambe lunghe” è invece un piccolo capolavoro di analisi del costume. Scritta nel 1947 e, quindi, nel periodo creativo più intenso dell’autore, la commedia sembra riecheggiare i temi affrontati in “Napoli milionaria!” in quanto è una sconsolata riflessione sui guasti morali provocati dalla guerra e, al tempo stesso, in un’ottica che richiama vagamente una tematica di sapore pirandelliano come quella dell’essere e dell’apparire, una denuncia dell’inversione dei ruoli della verità e della menzogna nella vita degli uomini. Colpisce già nel titolo il capovolgimento del detto popolare per cui le bugie hanno le gambe corte e si sottintende con sufficiente chiarezza che quel detto è riferito alle bugie dei bambini, mentre quelle “con le gambe lunghe” sono le bugie degli adulti, che se ne servono, secondo un’indicazione fornita al riguardo dallo stesso Eduardo, “per non far cadere l’impalcatura della società”, intendendosi evidentemente per tale la società ipocrita  e perbenista che l’autore intende mettere alla berlina nelle sue opere. Commedia perciò profondamente amara e pessimista, essa rivela impietosamente un’umanità che vive nella mistificazione e nell’ipocrisia, immersa in una fitta rete di menzogne, costruita, attraverso complicità dirette o indirette, per perseguire il proprio comodo e, talvolta, il proprio utile. Le bugie con le gambe lunghe sono perciò quelle nate dagli interessi, dalle convenienze, dai più sporchi compromessi della vita, cui Libero, il protagonista, assiste come spettatore attonito e trasognato, ma nelle quali viene suo malgrado coinvolto a causa degli intrighi magistralmente architettati dai suoi vicini, in una giostra di situazioni al limite del farsesco e del grottesco, rischiando di rimanerne travolto. Egli riesce tuttavia, alla fine, a salvare la sua incrollabile vocazione all’onestà squattrinata e misera ma dignitosa oltremisura. Infatti, nel finale, Libero, preso atto dell’ineluttabilità delle menzogne del mondo e della straordinaria solidarietà che lega i bugiardi tra di loro, se ne va, sconfitto di fronte alla società, ma come un vincitore di fronte alla propria coscienza.